AMATI COSI’ COME SEI

C’è chi liquida il body shaming -ovvero la derisione dell’aspetto fisico- come l’ennesima deriva del politicamente corretto.

Secondo questa visione semplicistica, smettere di criticare l’aspetto fisico altrui equivarrebbe a giustificare o addirittura incoraggiare l’obesità, tralasciando di mettere in guardia contro i pericoli per la salute.

Ma chiunque abbia lottato con il proprio peso sa che il percorso per dimagrire può cominciare solo con l’accettazione di sé, con la capacità di guardarsi allo specchio senza provare ribrezzo o vergogna, senza sentirsi inadeguati. La decisione deve partire da dentro e non sarà mai il giudizio altrui o la paura delle malattie a spingere una persona a mettersi a dieta.

Spesso, le persone sovrappeso possono apparire allegre e spensierate, incuranti della loro condizione fisica. Hanno imparato che la migliore difesa è l’autoironia. Ma non fatevi ingannare; soffrono. Soffrono moltissimo. E non crediate che sia solo questione di forza di volontà. Se fosse così facile dimagrire e restare in forma non esisterebbe il problema dell’obesità, così come non esisterebbero l’alcolismo o l’abuso di sostanze. Perché molti dimenticano, o forse non sanno, che il cibo può diventare una droga, e come la droga o l’alcool può dare assuefazione. Dire semplicemente “fa male” non basta a interrompere questo ciclo perverso.

Le persone obese o in forte sovrappeso non sono felici della loro condizione e non hanno bisogno che qualcuno gliela ricordi: la vivono ogni giorno sulla propria pelle, nei vestiti che non si abbottonano, nell’affanno salendo una rampa di scale, negli sguardi sfuggenti o compassionevoli. Le pressioni sociali, i pregiudizi, le offese mascherate da “buoni consigli” non fanno altro che provocare sentimenti di rabbia e di autocommiserazione che favoriscono l’aumento di peso.

Lontano dall’essere uno stimolo al cambiamento, infatti, il body shaming alimenta un circolo vizioso: si inizia una dieta per reagire alle critiche e sconfiggere il senso di inadeguatezza, ma alla prima difficoltà si ricade in comportamenti compensatori, abbuffate e sensi di colpa. Perché molti dimenticano, o forse non sanno, che il cibo può diventare una droga, e come la droga o l’alcool può dare assuefazione. Dire semplicemente “fa male” non basta a interrompere questo ciclo perverso.

Gli inglesi hanno un’espressione potente: think thin, “pensati magro”. No, non è un invito a fantasticare di avere una silhouette già perfetta, è un suggerimento a cambiare prospettiva. Pensarsi già magri significa imparare a volersi bene così come si è, nel corpo che si abita. Non significa rassegnarsi alla propria condizione ma rompere il legame tossico tra aspetto fisico e valore personale. Significa dire: “Io valgo, indipendentemente dal mio corpo”. Un approccio positivo all’immagine corporea e alla propria identità aiuta a stabilire un rapporto equilibrato con il cibo. Una dieta vissuta come una punizione è destinata a fallire mentre una dieta vista come un atto d’amore verso sé stessi può diventare un percorso di benessere e di crescita.

Il body positivity non è un lasciapassare per uno stile di vita nocivo, ma un invito a volersi bene. Perché nessun cambiamento può nascere dal disprezzo. E nessuna persona dovrebbe essere costretta a odiare sé stessa per poter sperare di migliorare.

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