Molti over 60/70 sono convinti che risultare positivi al coronavirus a questa età equivalga ad una condanna a morte.
Nella infinita disputa tra “ottimisti” e “pessimisti” forse quello che servirebbe di più è solo un po’ di realismo.
L’aggiornamento del report ISS sulle caratteristiche dei pazienti deceduti positivi a SARS-CoV-2, pubblicato su Epicentro, ci dice che oggi, in questa fase di seconda ondata, è aumentata l’età media dei decessi (81 anni) poiché a morire di Covid sono persone più anziane. Aumentano, inoltre, i decessi di persone con 3 o più patologie preesistenti e diminuiscono quelli con meno patologie o nessuna.
Tra le co-morbosità preesistenti, nei decessi del secondo periodo, aumentano le persone con fibrillazione atriale, demenza (che sono più che raddoppiate) e insufficienza respiratoria cronica (quasi raddoppiate).
Questo, spiega l’Istituto Superiore di Sanità, sembra indicare che nel secondo periodo i decessi riguardano persone più anziane e con una condizione di salute preesistente peggiore rispetto ai decessi relativi al primo trimestre.
Perché il dato del secondo periodo è diverso dal primo?
Il dato, sottolineano gli esperti, può essere spiegato da maggiori conoscenze circa l’infezione e maggiori capacità e tempestività di cura, il criterio diagnostico diverso, le migliorate capacità del sistema nel suo complesso, il diverso identikit dei soggetti contagiati e l’uso delle precauzioni con cui tutti abbiamo imparato a convivere. Cui va aggiunto l’obbligo di sottoporre a tampone i pazienti in procinto di ricoverarsi per altri problemi, una sorta di ulteriore screening da cui sono emersi in questo mese migliaia di casi che poi, in automatico, vengono conteggiati tra i ricoveri pur essendo il paziente in ospedale magari per un ernia o per una frattura.
È chiaro che sia età sia patologie pregresse contribuiscono ad aumentare il rischio e sono due aspetti che vanno tenuti in grande considerazione. Il 6,9% degli infetti con più di 60 anni ha avuto sintomi critici, tali cioè da richiedere cure intensive o da poter causare il decesso. Questo significa che su 100 positivi over 60, 93,1 hanno solo sintomi lievi o comunque non tali da richiedere la terapia intensiva..
D’altronde, non si può ignorare che a 60/70 anni sono ancora in tanti ad essere dinamici e in salute, spesso anche più di chi ha qualche anno di meno. Inoltre in genere, dopo i 60 anni c’è una maggiore disponibilità di tempo libero, dettaglio che aiuta a seguire stili di vita più salutari.
Per quanto riguarda lo sviluppo di forme severe o gravi di Covid-19, alcune delle condizioni che l’Oms e altre agenzie di salute pubblica hanno identificato come fattori di rischio sono patologie cardiovascolari, malattie renali croniche, diabete e malattie respiratorie croniche.
In questi casi si può rendere necessario un ricovero in ospedale. I casi più gravi sono trattati in terapia intensiva, con farmaci per contrastare la replicazione del virus e tenere sotto controllo la risposta immunitaria.
Tuttavia, nella maggior parte dei casi, la COVID-19 si presenta con sintomi lievi e che tendono a risolversi in una decina di giorni anche negli over 60. Nella sua fase iniziale, la COVID-19 si presenta spesso con sintomi molto simili a quelli influenzali e di altre infezioni respiratorie.
Tra i positivi attuali di Covid in Italia il 58,6% risultano asintomatici, il 14,2% sono pauci-sintomatici (qualche colpo di tosse secca, una febbricola al di sotto di 37,5 che dura 1/2 giorni, un generale senso di stanchezza) il 19,9% hanno sintomi lievi (febbre oltre 37,5, mal di gola, tosse secca, a volte perdita gusto e olfatto) il 6,6% hanno sintomi severi (febbre alta, tosse secca, affanno, dolori al petto, spossatezza,) e lo 0,7% presenta un quadro clinico critico (difficoltà respiratorie, polmonite). Il 91% dei pazienti sta affrontando l’infezione a casa o in altra struttura, l’8,8% e’ in ospedale. Ogni 1000 positivi, circa 7 hanno bisogno di terapia intensiva.